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Discussione del Documento di economia e finanza 2014
intervento alla Camera del On. Maino Marchi


18 aprile 2014




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Signor Presidente, colleghi deputati, rappresentante del Governo, pur nel tempo di pochi giorni abbiamo avuto la possibilità di un intenso lavoro sul DEF con le audizioni. Il primo giudizio che ho sentito esprimere nel corso delle audizioni è che siamo di fronte ad un cambiamento, ma non alla svolta necessaria per il Paese.
  Già un giudizio di riconoscimento di cambiamento è di per sé positivo, essendo pervenuto da un'organizzazione sindacale che in questi anni non ha certo risparmiato giudizi critici e severi nei confronti dei vari Governi che si sono succeduti. Però io credo che si possa partire da quel giudizio per affermare qualcosa di più.
  Siamo di fronte con questo DEF a un forte cambiamento, che avvia una svolta nella politica economica del Paese. Il cambiamento più significativo – voglio partire da qui – è che questa volta non si scrive più, come abbiamo fatto per diversi anni, che verranno in futuro destinate risorse alla riduzione del cuneo fiscale e contributivo – in soldoni alla riduzione delle tasse sul lavoro, intendendo per lavoro sia il lavoro dipendente che quello autonomo, che è l'attività d'impresa – e non verranno più destinati i futuri proventi della lotta all'evasione fiscale oppure le future maggiori entrate. Andiamo oltre anche ad un intervento immediato, significativo, rilevante per la finanzia pubblica, ma purtroppo non del tutto significativo per i destinatari, come quello di 2 miliardi 600 milioni fatto con la legge di stabilità, tanto che in essa si è previsto un fondo, alimentato in vari modi, per ulteriori significativi interventi.
  Nella legge di stabilità per il 2014 avevamo introdotto una novità: non si sarebbe aspettata la fine dell'anno, la prossima legge di stabilità, ma già nel DEF avremmo dovuto individuare la dimensione degli interventi da fare nel 2014. C'erano senz'altro scetticismi di varia natura sul mantenimento di questo impegno e invece quegli scetticismi ora sono smentiti.
  Qui c’è il cambiamento più forte, che è anche una svolta. Il Governo dice alle Camere: datemi il via libera sul DEF e già nei prossimi giorni vareremo il decreto-legge per i tagli alle tasse sul lavoro per i prossimi mesi del 2014 e lo faremo in una misura che non ha precedenti.
  Ricordo che il più consistente intervento sul cuneo fiscale lo fece il Governo Prodi nella legge finanziaria 2007 e valeva meno della metà di questo. Il Governo dice due altre cose: interverremo a favore delle imprese, riducendo l'IRAP e finanziando questa riduzione con l'aumento delle tasse sulle rendite finanziarie, determinando cioè uno spostamento della pressione fiscale dal lavoro e l'impresa verso la finanza; ma l'intervento più consistente lo faremo verso i lavoratori dipendenti a più basso reddito, cercando forme che coinvolgano anche gli incapienti. Qui vi è il più rilevante intervento nel segno dell'equità, certamente almeno dell'ultimo decennio se non oltre, quindi giustizia sociale, ma che ha anche una valenza economica, perché destinato a favorire la ripresa della domanda interna, consumi e investimenti, che è stata in questi anni l'elemento di maggiore fragilità dell'economia italiana.
  Le imprese che esportano vanno sostenute, ma non si può vivere solo di esportazioni. Bisogna rivitalizzare il mercato interno, sapendo certo che, se il sistema produttivo è poco competitivo, questo può tradursi in un aumento delle importazioni. Tutto questo ci dice che non basta intervenire sul lato della domanda e, però, sulla domanda bisogna intervenire.
  Lo sottolineo anche rispetto alla critica che questo taglio delle tasse sul lavoro non coinvolge i lavoratori autonomi a basso reddito, la cui esistenza ormai dovrebbe essere evidente a tutti, cioè che ci sono lavoratori autonomi anche a basso reddito. Se non esistessero, non avremmo un così alto numero di imprese che chiudono, tutti i giorni purtroppo. Ma a loro diciamo due cose, una che riguarda anche i pensionati. Nella risoluzione di maggioranza impegniamo il Governo a valutare la possibilità di estendere queste misure anche ai pensionati e ai lavoratori autonomi a basso reddito, ma è evidente che già lo sforzo previsto è molto consistente e non sarà facile andare oltre, anche se ce lo poniamo come obiettivo. La seconda cosa riguarda i lavoratori autonomi, diciamo perché tante imprese hanno chiuso? Per tre ragioni: i mancati pagamenti della pubblica amministrazione, la restrizione del credito, la caduta dei consumi. Sui pagamenti nel 2013 si è avviato un forte intervento che nel DEF vogliamo consolidare, sia per chiudere le partite al 31 dicembre 2012, sia per costruire condizioni di normalità per il presente e il futuro, e vuol dire altri 13 miliardi oltre ai 47 già stanziati, quindi andiamo a 60 miliardi e quindi anche questo è giustamente uno dei motivi della richiesta che poi viene fatta dal Governo all'Unione europea, perché andiamo oltre quello stanziamento complessivo.
  Sul credito, in legge di stabilità abbiamo delineato il sistema nazionale di garanzia per il credito alle piccole e medie imprese che va realizzato e potenziato. Per i consumi, solo mettendo più soldi in busta paga ai lavoratori dipendenti a più basso reddito potremo ricostruire una clima di fiducia e una condizione concreta perché i consumi riprendano – sono calati perché gli italiani hanno avuto meno soldi in tasca – e se riprendono i primi beneficiari saranno le imprese del commercio, dei pubblici esercizi e dell'artigianato e quindi indirettamente i soldi che il Governo mette nelle tasche dei lavoratori dipendenti arrivano anche nelle tasche dei lavoratori autonomi.
  Ci sono altri aspetti per i quali siamo di fronte a un forte cambiamento che abbiamo svolto, il primo riguarda il nostro rapporto con l'Europa. Vi è senz'altro una continuità nello schema con cui si fanno le previsioni macroeconomiche e sappiamo che quello schema ha portato in Italia e in Europa a sbagliare molte, se non tutte, le previsioni, quindi occorrerà agire sapendo che possono essere stati definiti scenari che almeno in parte probabilmente non si avvereranno. Non credo però che la politica dell'Italia verso l'Europa sia paragonabile a quella di alcuni anni fa, in primo luogo per la maggiore credibilità che abbiamo acquisito ma soprattutto perché abbiamo fatto atti concreti per cambiarne se non la regole almeno l'interpretazione delle stesse. Ha cominciato il Governo Monti alla fine della sua vita con il provvedimento sul pagamento dei debiti delle pubbliche amministrazioni, un provvedimento che si è fatto anche se ha provocato contemporaneamente, pure in misure diverse, aumento del debito e aumento del deficit, motivi per cui in passato si sosteneva l'impossibilità di tale atto. Ma questo è stato fatto, nel 2013. Ha continuato il Governo Letta con l'azione per riutilizzare i margini di flessibilità derivanti dall'uscita dalla procedura per deficit eccessivo, soprattutto vorrei sottolineare che oggi non abbiamo all'ordine del giorno solo il DEF nel suo formato classico, non vi saranno solo risoluzioni sul DEF in discussione, c’è anche una risoluzione che autorizza il Governo a dare attuazione a quanto previsto nel DEF relativamente allo scostamento di un anno per il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio. Mi dispiace che Forza Italia, almeno nei giorni scorsi, abbia portato la discussione soprattutto su un aspetto formale, la lettera del Governo all'Unione europea. Era del tutto scontata l'esistenza di una lettera di cui il Ministro dell'economia e finanze aveva dato riscontro in audizione nelle Commissioni bilancio di Camera e Senato. Penso che ci si debba concentrare sulla sostanza, sostanza con due risvolti: la famosa legge sul pareggio di bilancio previsto dall'articolo 81 della Costituzione e modificato nella scorsa legislatura non è così rigida, l'origine di tutti i mali, come spesso la si dipinge. È un equilibrio tra entrate e spese, più che un pareggio, ed è un equilibrio che deve considerare l'andamento dell'economia.
  È un segnale importante che il Governo si avvalga degli elementi di flessibilità previsti dalla legge, in una fase economica che vede la fine della recessione ma una ripresa debole, che ha bisogno di sostegni e non di essere ammazzata in culla con eccessiva rigidità.
  È un segnale importante, perché vuol dire che l'austerità, che ha connaturato le politiche europee, va superata con politiche che mettano al centro la crescita, certamente, senza indulgere in «finanza allegra», soprattutto in un Paese che ha il debito pubblico della dimensione di quello italiano. Ma vorrei sottolineare che, a differenza di quello che ha detto la relatrice di minoranza, questa richiesta e questa previsione che fa il Governo non è la stessa cosa che era prevista nella mozione del MoVimento 5 Stelle di qualche settimana fa. Lì si era proposto di superare il 3 per cento nel rapporto deficit/PIL, che non è oggetto della richiesta dell'Italia di cui oggi discutiamo e, d'altra parte, non si capirebbe, se fosse la stessa cosa, perché poi il MoVimento 5 Stelle voterà contro (vota contro perché non è la stessa cosa). Quindi, tutto questo noi lo diciamo direttamente all'Unione europea.
  L'Italia avrà da luglio la guida dell'Unione per il secondo semestre. Ci siamo già espressi ripetutamente su come devono cambiare le politiche europee al fine di tenere insieme la stabilità delle finanze pubbliche con misure per la crescita e per l'occupazione, soprattutto giovanile, per il contrasto della povertà e della discriminazione sociale. Abbiamo parlato di proseguire la marcia per un'autentica unione economica e monetaria, di meccanismi per la mutualizzazione del debito sovrano dei Paesi dell'area dell'euro, anche con forme per cui ogni Paese paghi la propria quota di interessi, perché nessuno intende scaricare su altri quello che deve essere l'onere a suo carico, ma è un'altra cosa se l'insieme del debito sovrano fosse gestito unitariamente.
  Vuol dire autonomia fiscale dell'eurozona, attraverso l'emissione di titoli per finanziare grandi progetti, ma penso anche a ciò che potrebbe significare, da questo punto di vista, la tassa sulle transazioni finanziarie; vuol dire la golden rule, togliere alcuni investimenti dai parametri del Patto di stabilità e crescita, farlo diventare meno stupido; vuol dire meccanismi di finanziamento dei sussidi per la disoccupazione e per il sostegno all'occupazione, in particolare giovanile, così come per finanziare infrastrutture. Infine, aggiustamenti della finanza pubblica più equilibrati tra i Paesi in deficit e in Paesi in surplus nella loro struttura economica.
  Ecco, noi stiamo qui, noi stiamo su queste cose; non idee balzane, come la fuoriuscita dall'euro, con cui gli italiani si troverebbero svalorizzati i loro risparmi e tutto il sistema si indebolirebbe, ma una politica di cambiamento dell'Europa, portata avanti non isolatamente, ma nell'ambito di una forza politica, il PSE, che ha l'ambizione di essere la prima forza politica europea nella quale il Partito Democratico ha un peso molto rilevante. Un'Europa che può stare tra i grandi, avere un ruolo di protagonista mondiale, solo se agisce come una vera unione, magari come gli Stati uniti d'Europa, perché nessuno Stato da solo potrà essere nel prossimo futuro tra i grandi, tra quelli che hanno il PIL più rilevante.


   Ho detto cambiamento, ma non «finanza allegra». Lo dimostra il fatto che il cuore della manovra del DEF, la riduzione delle tasse sul lavoro, viene finanziato in primo luogo con la spending review. Una vera revisione della spesa, non tagli lineari. C’è un percorso in atto, che fa ogni giorno un passo avanti. Nel DEF alcuni aspetti sono già delineati. Molto è da definire, lo sappiamo, a partire dai 4 miliardi e mezzo che dovranno essere reperiti nel 2014. La misura degli obiettivi è imponente. Sono comprensibili i timori sull'impatto che possono provocare, considerando che siamo un Paese che ha già visto per anni ridursi la spesa pubblica primaria.
  C’è, però, un cambiamento netto rispetto al passato. Tremonti ha fatto enormi tagli, soprattutto in due direzioni: la scuola, l'università, la ricerca, la formazione, cioè l'elemento essenziale per la competitività delle diverse economie nazionali. Con la cultura si mangia, a differenza di quello che è stato sostenuto. Il secondo era per le regioni e gli enti locali, vanificando tutto il processo e il percorso sul federalismo fiscale.
  Ora un primo elemento di discontinuità c’è.
  Tutto ciò che riguarda la conoscenza non sarà oggetto di riduzioni di spesa, anzi sarà il principale settore su cui si investirà, una scelta politica chiara e forte. E per quanto riguarda le regioni e gli enti locali essi saranno oggetto delle riforme costituzionali. Abbiamo già cominciato con un primo percorso sulle province, ma è previsto anche ulteriormente. Poi un percorso per il Patto di stabilità interno che vada verso il suo superamento con il pareggio di bilancio, una fiscalità comunale che seppur tra numerosi aggiustamenti vada nel senso di una autonomia finanziaria che si è indebolita con la sbagliatissima scelta di abolizione dell'ICI prima casa assunta nel 2008, interventi sui trasferimenti che si basino sempre più sui costi, i fabbisogni standard, sui LEA e sui LEP, insieme a non lasciare soli i comuni che sono in dissesto o a rischio di dissesto a causa delle politiche nazionali di questi anni verso la finanza locale.
  Quindi la discontinuità c’è, ma noi sottolineiamo che la revisione della spesa deve essere condotta evitando tagli che producano effetti recessivi e nei settori decisivi per lo sviluppo. Parliamo sempre appunto di scuole e formazione, ma anche di servizi per l'impiego, sicurezza. E sulla sanità, settore delicatissimo, deve andare nel senso della razionalizzazione dell'acquisto di beni e di servizi, deve utilizzare costi standard e rispettare i LEA.
  Abbiamo fatto un'indagine conoscitiva sulla sanità, da cui è emerso il danno che è stato prodotto con tagli lineari. Quindi vanno evitati tagli alla cieca o politiche sui ticket che producano effetti distorsivi. Quindi condivisione degli obiettivi, ma attenzione a come si realizzano. Nessuna delega tecnica. La revisione strutturale della spesa chiama in causa la politica, l'esigenza di riforme condotte dalla politica. E deve significare che l'equità, la giustizia sociale e la lotta alla povertà aumentano, non diminuiscono.
  Torno al punto di partenza, quel giudizio di cambiamento ma non di svolta nel corso delle audizioni, motivato per la mancanza di rilancio degli investimenti pubblici, di politiche industriali e di piano straordinario per l'occupazione. Il relatore per la maggioranza, onorevole Misiani, ha già illustrato come questi temi sono invece centrali nel DEF: per gli investimenti, attraverso il superamento graduale del Patto di stabilità interno, l'uso dei fondi europei, quindi una grande attenzione su questo tema, perché questa è la risorsa principale che avremo a disposizione per gli investimenti nei prossimi anni; gli interventi sull'edilizia scolastica in gran parte già finanziati; quelli sull'assetto idrogeologico invece in buona parte da finanziare e quelli sull'Expo, anche questi già finanziati. Ma anche politiche industriali, quegli interventi sul lato dell'offerta sia quelli sul fisco, non solo quelli che ho citato, ma anche l'attuazione della delega fiscale, i pagamenti della pubblica amministrazione, il sostegno alla conoscenza e, quindi, alla ricerca, le politiche energetiche per l'edilizia.
  Penso agli interventi già finanziati, già previsti per quanto riguarda le detrazioni fiscali, la green economy: abbiamo un atto, un collegato alla legge di stabilità, proprio su questo tema. E poi, per la competitività del Paese, le riforme istituzionali, la riforma della pubblica amministrazione, la riforma della giustizia civile non sono elementi separati, sono elementi che vanno ad incidere direttamente sulla competitività del Paese. E sul piano dell'occupazione giovanile, è partito l'intervento «Garanzia per i giovani», ci sono le misure per la riforma del lavoro.
  Sappiamo che le regole non bastano a creare lavoro, ma tutto ciò che ho detto prima su investimenti e politiche per lo sviluppo hanno effetti sull'occupazione. È comunque un campo che ha bisogno di ulteriori interventi – lo diceva il relatore – se vi saranno più entrate di quanto previsto dalle privatizzazioni devono, a nostro avviso, essere destinate ad un piano straordinario per l'occupazione giovanile, al riassetto idrogeologico, all'edilizia scolastica.
  Altri due aspetti della nostra risoluzione che hanno una valenza economica ed una valenza sul piano dell'equità voglio richiamare. Il primo è il contrasto all'evasione fiscale, quindi tracciabilità, meno contante, fatturazione elettronica, cooperazione internazionale contro i paradisi fiscali e il segreto bancario, e il secondo è rivisitare la riforma previdenziale, risolvendo il problema degli esodati, quello dei lavoratori della scuola cosiddetti quota 96, introducendo meccanismi di flessibilità nel sistema e anche risolvendo il problema della ricongiunzione, che è nato per uno dei decreti-legge fatti dal Ministro Tremonti nel 2010.
  Quindi, Presidente, questo non è solo un Documento di economia e finanza di cambiamento è, a mio avviso, di svolta che richiede un grande lavoro delle istituzioni, del Parlamento e del Governo, per le riforme strutturali e anche di attenzione forte per i passaggi più difficili per la sua attuazione che noi non ci nascondiamo, ma crediamo sia una sfida da portare avanti con forza. È un DEF che caratterizza la politica economica del Governo Renzi e che ha il convinto sostegno del Partito Democratico




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